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Valutazione del trattamento psicoterapeutico nel paziente oncologico in trattamento chemioterapico

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In: Rivista Italiana di Cure Palliative, anno 2005, n°2, Medica Editoria e Diffusione Scientifica, Milano
 Paolo Milanesi*, Claudio Mencacci*, Marco Riva*, Leopolda Pelizzaro*, Gabriella Farina**, Alberto Scanni**

 * Dipartimento di Psichiatria “Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico” Milano
** Dipartimento di Oncologia “Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico” Milano

 

Riassunto

Gli Autori presentano una visione di sintesi dell’intervento psicoterapeutico in oncologia e della valutazione della sua efficacia. Illustrano l’esperienza del gruppo di psiconcologia dell’U.O. di oncologia dell’Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano che da alcuni anni ha costituito un servizio che permette ai pazienti di accedere ad un trattamento psicoterapeutico articolato in una serie di colloqui individuali. Obiettivo della ricerca, durata un anno e sei mesi,  è stato quello di valutare l’impatto di tale intervento sul livello di ansia e depressione nei pazienti in  trattamento chemioterapico. Dieci pazienti, di età inferiore ai 70 anni, sono entrati nel programma psicoterapeutico (7 colloqui cadenzati ogni 2 settimane). Come strumento di misurazione sono state utilizzate quattro scale di valutazione: la” Hamilton scale for depression”, la “Hamilton anxiety scale” e le” scale di autovalutazione della depressione e dell’ansia di Zung”. I risultati sono stati elaborati utilizzando un test parametrico sulla differenza tra medie. Si ritiene che il modello di intervento proposto abbia  fortemente inciso sulla riduzione della sintomatologia ansioso depressiva, presumibilmente grazie al contenimento emotivo fornito dal setting psicoterapico e quindi alla possibilità, da parte dei pazienti, di elaborare alcune difese psicologiche e orientare diversamente i significati dei propri vissuti.

Parole chiave: psicoterapia; depressione; oncologia.

 

Summary

The Authors present a summary of a study related to the use of psychotherapy amongst cancer patients and an evaluation of its effectiveness based upon a specific experiment used by the Operational Unit of the Oncology Department of the Fatebenefratelli Hospital of Milan.  This hospital introduced the possibility for patients to take advantage of psychotherapeutic assistance in a series of individual sessions.  The study lasted 18 months with the scope of evaluating the impact of such assistance on anxiety and depression in patients undergoing chemotherapy treatment.  Ten patients under the age of 70 participated in the program for a total of 7 individual sessions (bi-monthly).  The evaluation methods used were “Hamilton Scale for Depression, Hamilton Anxiety Scale” and “Self-evaluation of Depression and Anxiety” by Zung.   Results have been elaborated by utilizing a parametric test on the difference of the averages.  We believe that psychotherapy has significantly influenced the reduction of symptoms of anxiety and depression, presumably thanks to the emotional outlet provided by the psychotherapeutic setting that allowed patients to express their emotions and orient these differently according to personal experiences.

Kay words: psychotherapy; depression; oncology.

 

 

Introduzione

 

Già nel diciannovesimo secolo la scienza si era occupata della psicologia del malato di cancro. Negli ultimi anni però tale studio si è imposto sempre più, non solo all’interesse pubblico, ma anche alla ricerca medico-psicologica. A ciò hanno contribuito vari fattori: la migliore conoscenza dell’importanza degli influssi carcinogeni biologici, psicologici e sociali, dunque “biopsicosociali” dell’ambiente; il crescente progresso dei metodi di cura chirurgici, chemioterapeutici e radioterapeutici, che aumentano le possibilità di guarigione dei malati di tumore o ne prolungano la sopravvivenza e che hanno perciò acquisito un significativo influsso sulla qualità di vita di questi malati; il significato paradigmatico che le forme tumorali in generale hanno assunto nel rappresentare la malattia ed eventualmente la morte dell’uomo dei nostri tempi(1). Per la maggior parte delle persone, non esclusi gli addetti ai lavori, le forme tumorali si collegano a rappresentazioni che da un lato hanno una forma reale, dall’altro una forma metaforica. Tale metafora è sintetizzabile nella stessa parola “cancro” che evoca fantasie di malattia stigmatizzante, inattaccabile ma a sua volta aggressiva, insinuante, insaziabile; perseguita la sua vittima fino alla fine, la tormenta e si prefigge la sua morte. Nell’immaginario individuale e collettivo il cancro si associa a significati di sofferenza fisica e psichica, di morte ineluttabile, di stigma e diversità (l’essere estraneo e straniero), di colpa e vergogna. È quanto Susan Sontag(2) definisce “bardature metaforiche” che, per il cancro, da sempre risvegliano l’idea di un processo insidioso, misterioso e destruente, divorante e contagioso. È quanto Fornari(3) identifica nell’ antinomìa amico-nemico, dove il “nemico” riesce a modificare e ad incidere sugli affetti attraverso impronte inalterabili che permeano le emozioni, i pensieri ed i comportamenti della persona colpita, sia nella sua dimensione individuale che relazionale. È ciò che Tolstoj, nel noto racconto La morte di Ivan Il’ič(4), coglie nelle parole del protagonista “… Il dottore aveva parlato di sofferenze fisiche e a ragione; ma più terribili delle sofferenze fisiche erano le sofferenze morali. … Il principale tormento di Ivan era la menzogna … che non volessero riconoscere quello che tutti sapevano e che anche lui sapeva … e costringessero anche lui ad aver parte alla menzogna”. Possiamo dire, forse con eccesso di sintesi, che la psicooncologia si occupa delle condizioni di insorgenza e degli effetti di questa metafora così come delle difese che i malati oppongono a questa immagine patogena e gravida di conseguenze. Si occupa anche della sua terapia e degli effetti di questa.

Vari sono i filoni di ricerca in psico-oncologia, il nostro studio si inserisce in quell’area  definita come “la valutazione dell’efficacia degli interventi psicoterapeutici in oncologia”. Tale area ripropone l’estrema complessità dei temi e degli interrogativi che circondano più in generale la psicoterapia, ad esempio che cosa si intenda per psicoterapia, quali siano i riferimenti epistemici e concettuali e i diversi modelli di intervento, quali i metodi e le tecniche che da questi derivano e infine quale sia l’efficacia di ogni tipo di intervento (5). In ogni caso, partendo dai parametri comunemente utilizzati in medicina per valutare l’efficacia di un farmaco, oggi la tendenza sembra essere quella che richiede anche alle psicoterapie di far riferimento a dati empirici (studi clinici controllati) che dimostrino l’efficacia sperimentale  clinica, quindi di sottostare ad una maggiore sistematizzazione degli interventi e inoltre di non prescindere da una rigorosa analisi dei risultati ottenuti nonché dalla loro riproducibilità(6). In sostanza si chiede di aderire al modello EBM (Evidence Based Medicine) in base al quale vengono considerati solo gli studi di efficacia classici, cioè gli studi controllati randomizzati in cui i pazienti sono distribuiti a caso nei gruppi dei probandi e di controllo e dove i trattamenti sono standardizzati. Questo esclude tutti gli studi di altro tipo e, in particolare gli studi naturalistici di efficacia nella pratica (effectiveness), gli studi di tipo qualitativo e gli studi di processo(7). Alcune critiche sono state rivolte a questo tipo di orientamento, ad esempio il fatto di non considerare le differenze tra le condizioni sperimentali e quelle reali dei trattamenti, i rischi connessi con l’uso dei manuali per la standardizzazione dei trattamenti e gli equivoci tra fattori terapeutici specifici e aspecifici(8,9,10). Inoltre è importante evidenziare che, per problemi di natura etica, in molte situazioni alcuni criteri di ordine metodologico purtroppo non sono perseguibili. Ad esempio, per quanto riguarda la costituzione dei gruppi di controllo, risulta eticamente inaccettabile rinunciare a sottoporre ad un trattamento psicoterapico dopo la randomizzazione e non invece dopo un colloquio personale con il paziente quando si ritiene necessario e importante il trattamento stesso. Le possibilità di ricerca sono dunque condizionate da come si imposta il problema.

Attualmente gli studi sull’efficacia delle psicoterapie, condotti con differenti metodologie, sono moltissimi; essi hanno fornito la dimostrazione che le psicoterapie sono efficaci per la maggior parte dei disturbi psichici e che, in generale, offrono vantaggi rispetto ai trattamenti solamente farmacologici e a quelli “minimali”, anche se sono, in generale, meno efficaci dei trattamenti combinati. In particolare, rispetto ai disturbi depressivi, va citato lo studio multicentrico randomizzato del National Institute of Mental Health (NIMH) Treatment of Depression condotto negli Stati Uniti su 250 pazienti ambulatoriali affetti da depressione(11). Questo ed altri successivi studi hanno dimostrato l’efficacia di diversi tipi di interventi psicoterapeutici(12)tra cui quelli ad orientamento interpersonale(13)e cognitivo-comportamentale(14). Tuttavia, non è stato ancora possibile determinare con sicurezza la superiorità di una tecnica sulle altre, nonostante l’utilizzazione di sistemi statistici (meta analisi) che permettono il confronto tra studi metodologicamente diversi(7).

In oncologia, in particolare, lo sviluppo degli interventi psicoterapici e la loro verifica sperimentale, risulta particolarmente importante per varie ragioni quali l’elevata prevalenza di disturbi psichiatrici (depressione e ansia in particolare), la tendenza alla cronicizzazione di tali disturbi, le conseguenze negative della comorbilità psicosociale sulla qualità della vita, la ricaduta del disagio sui famigliari. Non va in fine dimenticata la peculiarità delle varie situazioni cliniche che si riscontrano in oncologia, quali la presenza di sintomi specifici come ad esempio l’ansia da nausea, il dolore e i disturbi sessuali; le tematiche che si presentano (il tema della morte e della sofferenza fisica) ed i tempi ristretti d’intervento rispetto ai normali interventi psicoterapeutici(6). Tutto questo indica, da un lato l’opportunità di una continua ridefinizione della psicoterapia a seconda del contesto, dall’altro accentua la necessità di una verifica sperimentale dei trattamenti(15)e lascia intuire come in psicooncologia vengono amplificate le problematiche inerenti la valutazione dell’efficacia degli interventi psicoterapeutici. Questi ultimi, se pur diversificati sul piano delle metodologie, sembrano presentare caratteristiche  comuni(16)ed alcuni Autori(17)ne hanno identificato i principali obiettivi:

 

  • aiutare il paziente a comprendere il senso della malattia e ad integrarlo nella propria esperienza soggettiva
  • ridurre o contenere il disagio emozionale del paziente
  • favorire lo sviluppo di modelli più adattivi di reazione alla malattia
  • migliorare la qualità della vita

 

Le modalità attraverso cui questi obiettivi vengono perseguiti sono sintetizzabili in alcune costanti presenti nelle psicoterapie(6):

 

  • incoraggiare il paziente ad esprimere i propri vissuti e i propri sentimenti
  • sostenere il paziente nell’elaborare il significato della perdita determinato dalla malattia
  • aiutare il paziente ad affrontare il senso di incertezza legato al futuro
  • chiarire ed interpretare al paziente il significato dei meccanismi disadattivi di reazione alla malattia
  • favorire la comunicazione tra il paziente e i famigliari in modo da sostenere la soluzione di problemi adattivi secondari alla malattia

 

Abbiamo da una parte le psicoterapie di supporto o cognitivo-comportamentali o informazionali che sono  orientate ad una riorganizzazione logico-razionale dei pensieri e dei comportamenti “disadattativi”, dalla parte opposta si trovano le psicoterapie ad orientamento analitico o elaborative che sono più vicine ai vissuti affettivi, cioè più tese alla risignificazione o comprensione dei movimenti emotivi che accompagnano il cancro; nel mezzo sono identificabili vari orientamenti con sfumature che possono avvicinarsi ora ad uno ora all’altro dei suddetti poli. Alcuni di questi sono stati oggetto di un’accurata valutazione di efficacia nell’ambito di studi clinici controllati (18,19).

In base alla nostra esperienza abbiamo potuto constatare che, con i pazienti ammalati di cancro, non siano proponibili impersonali teorie informazionali e neppure un approccio rigorosamente psicoanalitico che considera primariamente le fantasie inconsce del mondo psichico del paziente. Abbiamo invece oscillato tra due modelli o stili tra loro differenti, che abbiamo applicato in relazione al momento dell’intervento psicoterapico e ad una serie di variabili che definivano o un paziente bisognoso di supporto “concreto” immediato, oppure un paziente più in grado di affrontare l’alternarsi di destrutturazioni e ristrutturazioni che caratterizzano l’approccio analitico. In ogni caso, a prescindere da tali stili, secondo il nostro orientamento, il compito fondamentale che il terapeuta deve saper affrontare, è quello di poter esplorare e “gestire” l’universo emozionale che viene attivato durante i colloqui. Il tipo di psicoterapia da noi proposto può essere inserito nei modelli ad indirizzo psicodinamico interpersonale rispetto ai quali sono stati effettuati degli studi che ne hanno convalidato l’efficacia(13). Da un punto di vista tecnico e metodologico, la caratteristica è quella che vede il terapeuta proteso alla comprensione delle dinamiche affettivo relazionali che insorgono ma che lo vedono a sua volta coinvolto e copartecipe dei significati che emergono dalla relazione interpersonale. In generale, dunque, nella nostra esperienza, l’aiuto psicologico ai pazienti si è articolato in diverse fasi, dalla presa in carico da parte del terapeuta all’individuazione e organizzazione di “contenitori sufficienti della paura”. Attraverso la rielaborazione dell’angoscia, ovvero delle “frane cognitive” dovute ai “terremoti emotivi”, è stato spesso possibile il recupero della capacità di progettare cioè di essere nel tempo, nel presente e verso il futuro.

In questo senso si inserisce da diversi anni una parte della nostra attività, infatti il reparto di oncologia dell’ospedale Fatebenefratelli,  mette a disposizione dei propri pazienti un servizio di psicologia clinica: è possibile, una volta diagnosticato il tumore, rivolgersi a degli specialisti (psicologi-psicoterapeuti) ed iniziare un percorso articolato in una serie di colloqui psicologici individuali della durata di 45 minuti circa e cadenzati ogni due settimane. Il numero di tali colloqui, pur essendo limitato, non é stabilito a priori rigidamente e generalmente oscilla tra i sei/dieci. Abbiamo voluto valutare l’efficacia di tale tipo di intervento circoscrivendolo a pazienti in trattamento chemioterapico, quindi l’obiettivo primario della ricerca è stato quello di  valutare l’impatto del trattamento psicoterapico sul livello di ansia e di depressione in tali pazienti.

 

Materiali e Metodi

 

Nel nostro caso, per problemi di natura etica, come illustrato in precedenza, non è stato possibile istituire un gruppo di controllo. Ad un primo step sono stati selezionati diversi pazienti con diagnosi di tumore, con prescrizione di chemioterapia e con evidenti difficoltà di adattamento che comportavano un elevato livello di stress soggettivo o pazienti che chiedevano esplicitamente un aiuto psicologico specifico. In seguito sono state somministrate loro quattro scale di valutazione dell’ansia e della depressione, tutte ampiamente validate e adatte a riflettere le modificazioni della sintomatologia ansioso-depressiva nel corso di un eventuale trattamento. Due di queste eterosomministrate: la Hamilton anxiety scale (Ham-a) e la Hamilton scale for depression (Ham-d) nella sua versione a 17 items(20, 21). Due autosomministrate: la scala di autovalutazione dell’ansia di Zung (Zung-a) e la scala di autovalutazione della depressione di Zung (Zung-d)(22, 23). La Ham-d è stata utilizzata nella sua versione ridotta, in quanto i primi 17 items sono quelli nucleari sulla base dei quali viene definito il cutoff di gravità.

Tutte le scale sono state compilate, per ogni paziente, prima dell’inizio del trattamento psicologico e subito dopo la fine dello stesso. In ogni caso mai prima dell’inizio della chemioterapia e sempre prima della fine della stessa. Criteri di inclusione nello studio sono stati:

 

  • diagnosi di tumore;
  • chemioterapia in corso;
  • età inferiore ai 70 anni;
  • punteggi ottenuti alle scale indicative della sintomatologia ansioso-depressiva somministrate prima del trattamento:
  • Ham-a > 12
  • Ham-d > 14
  • Zung-a > 32
  • Zung-d > 32

 

Criteri di esclusione dallo studio sono stati:

  • gravi malattie psichiatriche concomitanti o pregresse a versante psicotico;
  • malattie neurologiche pregresse o in atto con compromissione di funzioni del SNC;
  • l’uso di farmaci antidepressivi e/o ansiolitici;

 

N°12 pazienti hanno infine soddisfatto i criteri di inclusione e hanno seguito il trattamento psicoterapico (7 colloqui di 45 minuti l’uno cadenzati ogni 2 settimane). Due pazienti hanno sospeso il trattamento dopo il secondo colloquio in seguito a ricovero e a peggioramento della condizione medica. La ricerca è durata un anno e sei mesi: da maggio 2003 a dicembre 2004 ed è previsto un follow-up a distanza di 6/8 mesi per tutti coloro che hanno aderito al programma. Un controllo a tale distanza risulta fortemente auspicabile in pazienti con sintomi depressivi in quanto è possibile che a benefici iniziali possano seguire rapide perdite dei benefici stessi o addirittura dei peggioramenti.

Di seguito vengono riportate alcune delle caratteristiche rilevanti dei soggetti partecipanti allo studio.

 

N° totale di pazienti 12
Maschi 6
Femmine 6
Età maggiore 68
Età minore 36
Età media 54,8
Diagnosi oncologica CA mammella: 3

CA polmone: 1

Colon sigma: 3

Pancreas: 1

Pancreas-Fegato: 1

Ovaio: 1

Prostata: 1

Testicolo: 1

Interventi chirurgici 10
Chemioterapie adiuvanti 7
Chemioterapie curative 4
Ormono terapia (chemioterapia sospesa per anemia) 1
Diagnosi psichiatrica Disturbi dell’adattamento:

Con umore ansioso: 4

Con umore depresso: 4

Distimia: 3

Nessuna diagnosi:1

N° di pazienti che hanno terminato il trattamento psicoterapico (7 colloqui) 10                80%
N° di pazienti che hanno sospeso il trattamento (per ricovero) 2                  20%
N° totale di pazienti valutati 10

 

 

 

 

 

Risultati

 

Abbiamo considerato valutabili tutti i pazienti che hanno portato a termine il trattamento (7 colloqui) cioè 10 soggetti su 12 (80%). Di seguito vengono esposte le quattro tabelle relative ai risultati ottenuti dai soggetti in ogni singola scala somministrata, prima e dopo il trattamento. Inoltre viene riportato il valore delle differenze (Dj) e il quadrato di queste ultime (Dj2).

 

Zung-a

Soggetti Xa  Prima Xb  Dopo Dj Dj2
1 45 37 8 64
2 43 42 1 1
3 37 33 4 16
4 36 32 4 16
5 36 28 8 64
6 33 28 5 25
7 43 36 7 49
8 54 46 8 64
9 38 38 0 0
10 58 45 13 169
somma 423 365 58 468

 

Zung-d

Soggetti Xa  Prima Xb  Dopo Dj Dj2
1 56 46 10 100
2 36 35 1 1
3 40 37 3 9
4 33 28 5 25
5 43 30 13 169
6 43 38 5 25
7 48 43 5 25
8 45 42 3 9
9 33 35 -2 4
10 56 44 12 144
somma 433 378 55 511

 

Ham-a

Soggetti Xa  Prima Xb  Dopo Dj Dj2
1 18 14 4 16
2 19 16 3 9
3 14 12 2 4
4 13 9 4 16
5 14 11 3 9
6 15 13 2 4
7 16 14 2 4
8 19 17 2 4
9 13 13 0 0
10 25 16 9 81
somma 166 135 31 147

 

 

Ham-d

Soggetti Xa  Prima Xb  Dopo Dj Dj2
1 17 15 2 4
2 19 12 7 49
3 16 12 4 16
4 15 10 5 25
5 16 11 5 25
6 19 13 6 36
7 16 14 2 4
8 18 18 0 0
9 15 16 -1 1
10 24 15 9 81
somma 175 136 39 241

 

Per verificare la significatività delle differenze riscontrate nei punteggi ottenuti alle scale prima e dopo il trattamento, abbiamo utilizzato un test parametrico sulle differenze tra medie. Nel riquadro sottostante viene riportata la formula statistica del test.

  • N indica il numero di soggetti valutati.

_       _

  • Xa e Xb costituiscono le medie dei punteggi in ogni singola scala prima e dopo il trattamento

 

  • z  rappresenta un indice che sintetizza i risultati sperimentali. Se il valore assoluto di tale indice supera il valore critico di tc=2,821, significa che le differenze tra le medie sono statisticamente significative cioè non sono attribuibili unicamente al caso. E’ bene ricordare che il valore del t critico è ricavabile da tabelle statistiche precostituite e si basa sulla probabilità di commettere un errore statistico che nel nostro caso è del 1% cioè per α=0,01(24).

 

 

Abbiamo calcolato i valori di z per i quattro tipi di valutazione effettuati con le scale:

 

  • Zung-a: z = 4,8792

 

  • Zung-d: z = 3,6135

 

  • Ham-a: z = 4,1221

 

  • Ham-d: z = 3,92405

 

Come si può notare i valori di z, per ogni tipo di scala somministrata, risultano maggiori del tc=2,821 per α=0,01, ciò indica che la differenza tra le medie è statisticamente significativa. E’quindi presumibile che il decremento dei valori esprimenti la sintomatologia ansioso depressiva, prima e dopo il trattamento, sia abbastanza rilevante da non essere imputabile unicamente al caso ma, anzi, si può dedurre che l’intervento psicoterapico abbia fortemente inciso sulla riduzione della sintomatologia stessa. Possiamo cioè asserire, in via deduttiva e oltre ogni ragionevole dubbio, che il trattamento proposto è stato efficace anche se non siamo in grado di identificare con precisione “scientifica” quali fattori hanno portato al raggiungimento dei risultati. In altre parole sappiamo che il trattamento è stato efficace ma non come lo è stato. Questo apre al problema, nel quale ci addentreremo solo parzialmente, di che cosa abbia prodotto questo cambiamento o, più in generale, che cosa rende il terapeuta capace di svolgere con successo il proprio compito. E’ l’ambito degli studi qualitativi e degli studi di processo che tendono a dimostrare “come” la terapia funziona, non “se” funziona, cioè a correlare i risultati ottenuti, con variabili del paziente, del terapeuta e del trattamento stesso. Possiamo fare delle ipotesi e nella discussione che seguirà proveremo ad entrare nel merito di questo ambito al solo scopo di aprire una discussione critica e senza proporci di raggiungere delle valutazioni di risultato, non essendo questa l’impostazione della nostra ricerca e consapevoli che nel determinare l’esito di un trattamento, sia in senso positivo che negativo, può essere rilevante anche qualche altro fattore che il terapeuta non considera, magari perché non direttamente collegato al suo universo teorico di riferimento(9).

 

Discussione

 

E’il trauma psichico, quello vero, che colpisce la persona che si trova di fronte alla diagnosi di tumore. E’ un caos, il terrore che destabilizza tutto quello che una persona ha fatto, ha costruito sino al momento della diagnosi. E’ la rivoluzione nel paziente e nella sua famiglia. Per aiutare questa persona a reagire, ad affrontare il suo calvario non perdendo la speranza e la fiducia nei medici e nelle cure, é fondamentale, per lo psicologo, stare dentro a questo caos emotivo, a queste paure, a questo dolore mentale, alla metafora del cancro, al fantasma della morte. La diagnosi viene vissuta da quasi tutti i pazienti come un annuncio di morte, si affaccia la prospettiva di una morte certa e l’angoscia è fortissima. Il punto da cui parte l’intervento psicologico é quello di dare spazio al dolore e all’angoscia accettandoli nelle loro espressioni e nelle richieste di aiuto nel gestirli. Spesso la nostra partecipazione consente al paziente di percepire lo spazio adeguato che gli consente di cercare vari e differenziati modi di gestione. Ogni dolore può così trovare il suo posto. Il rischio è quello di banalizzare: non può essere  proposto alcun aiuto senza  avere riconosciuto il dolore, la paura di morire, per quelle che sono e quindi in primo luogo avendoli riconosciuti ed elaborati in sé stessi ancor prima che nel paziente, nei propri personali lutti e nelle proprie perdite. Non possono essere attivate risposte tipo:”questo é il momento in cui avere coraggio, lei é una persona coraggiosa, io lo so.” Questo è uno pseudo aiuto che inibisce l’elaborazione del dolore, che rassicura chi parla, ma non chi ascolta. Dando al paziente la possibilità di rispecchiarsi in qualcun altro che non scappa, che non banalizza, che capisce, si apre la possibilità di cogliere i significati che l’evento tumore e, se del caso, la chemioterapia, rappresentano per il paziente stesso che potrà, successivamente, affacciarsi verso una nuova dimensione, progressiva, di accettazione di quello che é successo.

In una ricerca di tipo qualitativo(25), tesa ad esplorare il significato psicologico della reazione di rifiuto alla chemioterapia in pazienti oncologici, è emersa la tesi secondo cui  l’intolleranza agli effetti collaterali della chemioterapia in alcuni pazienti, non è semplicemente la conseguenza della tossicità del farmaco, ma rappresenta anche un modo di spostare sul trattamento le paure e le ansie collegate alla malattia. In termini relazionali, il rifiuto degli effetti collaterali, può essere considerato come un “pretesto” per avere un supporto psicologico e in alcuni casi per iniziare una psicoterapia. In altri termini, gli effetti della tossicità del farmaco, che obbiettivamente possono innescare reazioni sul piano prettamente fisiologico, ben si prestano a diventare esse stesse la prima causa di sofferenza psicologica, in realtà come difesa dal ben più doloroso e difficoltoso problema che la malattia cancro solleva e cioè il problema della morte. E’ come se il paziente, attraverso il rifiuto della chemioterapia in quanto dolorosa e debilitante, si concentrasse su di un male minore, obnubilandosi rispetto a qualcosa di molto più drammatico e di cui il cancro sembra averlo ravvisato. Più questo rifiuto si esprime rigidamente e intransigentemente, spesso come un ostentato rispetto di sé e del proprio corpo, più ci si deve insospettire riguardo alla fragilità del sé. Non pensiamo che per tutti i pazienti ciò si verifichi, o quanto meno che si verifichi con la suddetta rigidità ed intransigenza. Sappiamo che la maggior parte dei pazienti accetta di sottoporsi alla chemioterapia e in buona parte di loro vi è una realistica accettazione della malattia e un “sano” riconoscimento degli effetti collaterali della chemioterapia stessa per ciò che essi sono, cioè una reazione fisiologica alla tossicità dei farmaci ma, soprattutto, la conseguenza di una  terapia medica che aggredisce anche il tumore; ma i pazienti, come ogni essere umano, hanno anch’essi un riferimento  idealizzato di sé, e questo non potrà sottrarsi agli “attacchi” che l’evento tumore gli scaglia addosso (il senso di finitezza e mortalità) e dunque dovrà in qualche modo difendersi. Ora la chemioterapia, come già detto, si presta bene ad essere utilizzata come difesa, in quanto produce facilmente reazioni di palpabile disagio, anche se solo sul piano fisiologico. In sintesi, qualunque paziente svilupperà una reazione psicologica di fronte alla chemioterapia: chi si porrà in modo realistico accettando la realtà delle cose e chi invece tenderà ad utilizzare quest’ultima come difesa, come il “proprio male” (male fisico) mentre si sottopone ad essa, eludendo quello ben più terrifico legato all’idea della morte.

Una importante differenza tra un paziente e l’altro (che forse sancisce la distanza tra chi è a rischio di disturbo psichiatrico e chi no) è costituita dalla possibilità che il paziente si concede di considerare le proprie difese psicologiche in quanto tali e cioè dei limiti che impediscono l’accesso ad un livello in cui sarebbe possibile orientare diversamente il significato dei propri vissuti.

Dunque è importante che ogni paziente che si sottopone ad una chemioterapia e che sviluppa una seria sintomatologia psicologica, possa avere la possibilità di andare a vedere dietro di essa.

Crediamo che l’elaborazione dei significati dell’ansia e della depressione legati alla chemioterapia aprano la strada  per aiutare il paziente ad avere un senso di controllo sulla propria esistenza, a partecipare attivamente alle cure mediche, migliorando la propria qualità della vita, mettendo in discussione le aspettative negative preformate sul proprio futuro e attivando in fine sentimenti e comportamenti sostitutivi e maggiormente adattivi.

La diffusione delle tecniche di intervento psicoterapeutico in oncologia è indubbiamente una conquista importante per il trattamento globale del malato di cancro. Risulta importante approfondire ulteriormente che cosa viene concretamente fatto, come lo si effettua e con quali finalità in modo da poter definire con maggiore ampiezza i progetti di salute mentale rivolti al paziente oncologico(6). Tutto questo risulta particolarmente difficile perché l’instabilità della malattia cancro rende questa area di indagine estremamente complessa anche in ordine ai fattori che possono contribuire ad evidenziare le variabili che influenzano la competenza del terapeuta. Crediamo, con il nostro lavoro, di aver contribuito ad affrontare questa complessità per potere andare oltre il modello “povero” di una psicoterapia di supporto e approdare invece ad una  chiara esplicitazione dei vari tipi di intervento psicoterapico. L’obbiettivo è che essi siano resi visibili, il più possibile misurabili e quindi sostenibili.

 

Bibliografia

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